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L'ETICHETTA A BATTERIA ITALIANA CONTRO IL SEMAFORO

Tra poche settimane dovrebbe iniziare la sperimentazione sul mercato italiano di un modello di etichettatura nutrizionale a batteria, messo a punto dal Governo insieme alla filiera agroalimentare italiana. Il sistema ambisce a diventare modello europeo”. Con queste parole Luigi Scordamaglia a nome di Federalimentare Consenso ha rilanciato il progetto italiano di etichetta a semaforo presentato a Bruxelles il 22 giugno scorso, presso il Working Group della Commissione europea. La nuova etichetta a batteria, rimasta un mistero fino a poche settimane fa, nelle intenzioni dei promotori dovrebbe rappresentare un’alternativa al modello Nutri-Score francese , per aiutare i consumatori a decodificare i valori riportati nella tabella nutrizionale e a valutare le differenze tra un prodotto e l’altro.

Per capire quanto la “batteria” italiana sia lontana dal fornire notizie utili, basta osservare le immagini delle etichette (vedi foto), relative a uno yogurt, all’olio extravergine di oliva, al Parmigiano Reggiano, al prosciutto di Parma e al pesto alla genovese. Bastano pochi secondi per rendersi conto dell’uniformità cromatica fra un prodotto e l’altro, della difficoltà a leggere e decodificare i minuscoli numeri riferiti a calorie e fabbisogno nutrizionale e del quasi impercettibile scostamento della barretta posta alla base della batteria che dovrebbe differenziare i prodotti. Senza considerare che il funzionamento di queste è in un certo senso un po’ controintuitivo: infatti quando il logo della batteria di uno smartphone è pieno, è un fattore positivo e desiderabile; quando invece si riempie la batteria sull’etichetta di un alimento è una cosa piuttosto negativa, perché significa che il prodotto in questione apporta troppe calorie, grassi, zuccheri o sale alla dieta.

La scarsa utilità della batteria per chi vuole capire le differenze tra i prodotti della stessa merceologia esposti sugli scaffali dei supermercati è talmente evidente che balza agli occhi anche di un profano. Ben diversa è l’informazione dell’etichetta a semaforo francese Nutri-Score che permette una rapida valutazione grazie ai cinque colori e un confronto immediato fra prodotti simili. Con la batteria il confronto è talmente complesso da risultare un rebus anche per gli addetti ai lavori. Basterebbe una semplice indagine di mercato su cento consumatori per rendersi conto di quanto sia cervellotica e incomprensibile la proposta e come sia praticamente impossibile confrontare i prodotti tra loro.

Ma l’ovvietà e l’evidenza non sembrano elementi presenti nel gruppo di esperti che ha lavorato sul progetto. In ogni caso un confronto simile è stato portato avanti due anni fa dalla commissione francese che ha intervistato anche i consumatori sulla facilita di comprensione di diversi modelli di etichettatura a semaforo molto più semplici della batteria italiana, assegnando al Nutri-Score il risultato migliore. La nuova etichetta proposta da Federalimentare Consenso e sostenuta dal Ministero dello sviluppo economico, più che facilitare la comprensione dei prodotti da parte dei consumatori, sembra un tentativo maldestro di confondere le idee e di sviare il discorso. C’è poi la questione dei valori nutrizionali da riportare sull’etichetta, che l’Italia vorrebbe riferire alla porzione e non a 100 g di prodotto. Questa scelta permetterebbe alle industrie di fissare una porzione “personalizzata” per migliorare il risultato finale. Per le bibite potrebbe essere mezza lattina, per le merendine 2/3 del contenuto, per i biscotti solo un paio di pezzi… Diversi studi hanno riconosciuto nel modello Nutri-Score la migliore etichetta a semaforo, anche perché i valori non sono riferiti a porzioni ma a 100 g o ml, l’unico sistema oggettivo per facilitare il confronto tra i prodotti.

La vera preoccupazione dei politici italiani e delle lobby è che il semaforo possa penalizzare i prodotti made in Italy come il prosciutto di Parma, l’extravergine di oliva, il Parmigiano Reggiano… Premesso che si tratta di un’iniziativa volontaria, per risolvere il problema basterebbe escludere il semaforo per questi prodotti. Si tratta di alimenti preparati allo stesso modo e per lo più con una sola materia prima, per cui finirebbero con avere la medesima etichetta vanificando lo scopo principale del confronto. C’è infine da chiedersi come mai una questione che riguarda aspetti nutrizionali degli alimenti veda come capofila il Ministero dello sviluppo economico e non gli esperti del Crea Nut (ex Inran), organismo scientifico del Mipaaft che istituzionalmente si occupa di questi argomenti, o dell’Iss. Il motivo potrebbe essere quello di riuscire a portare avanti una proposta che qualsiasi esperto del settore boccerebbe sul nascere giudicandola inutile.
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