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BIRRE CON ADDITIVI E ZUCCHERI, OCCHIO ALLE ETICHETTE

C’è birra e birra. Anche da noi purtroppo – al di là dei marchi italiani e delle birre artigianali nostrane – capita di incrociare bevande con additivi e ‘zuccheri alieni". Occhi aperti sulle etichette. La legge italiana sulla birra è senza dubbio la più severa tra le normative di settore che vigono nei diversi Paesi.  Tanto in Europa, quanto a livello internazionale. L’Italia è infatti l’unico Paese ad avere prescritto stringenti requisiti di qualità, che si esprimono in termini di grado Plato. Il grado Plato è un indice saccarometrico ed esprime la quantità di sostanza secca, cioè il valore di una bevanda che – al di fuori della sostanza secca – è essenzialmente composta di acqua e alcol. Le birre prodotte in Italia possono venire commercializzate nel nostro Paese, con le apposite denominazioni legali, alle condizioni che seguono:

-‘birra analcolica’, grado Plato 3-8, titolo alcolometrico < 1,2%.

-‘birra leggera’ o ‘birra light’, Plato 5-10,5, alcol 1,2%-3,5%.

-‘birra’, Plato >10,5, alc. >3,5%,

-‘birra speciale’, Plato >12,5,

-‘birra doppio malto’, Plato >14,5.

La ‘birra artigianale’ a sua volta è soltanto quella ‘prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione’.

La denominazione ‘birra’, in Italia, ‘è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di saccharomyces carlsbergensis o di saccharomyces cerevisiae di un mosto preparato con malto, anche torrefatto, di orzo o di frumento o di loro miscele ed acqua, amaricato con luppolo o suoi derivati o con entrambi.’

La legislazione italiana tuttavia, nel corso degli anni, ha dovuto cedere il passo agli imperativi europei legati alla ‘libera circolazione delle merci’.  I requisiti di qualità non possono perciò venire pretesi sulle bevande ‘low cost’ d’importazione, ad esempio. E ancor peggio, anche in Italia ormai:

-è ‘consentito l’impiego di estratti di malto torrefatto e degli additivi alimentari’, e

-‘il malto di orzo o di frumento può essere sostituito con altri cereali, anche rotti o macinati o sotto forma di fiocchi, nonché con materie prime amidacee e zuccherine nella misura massima del 40% calcolato sull’estratto secco del mosto’.

Gli additivi alimentari – come addensanti e antiossidanti – vengono così comunemente utilizzati per correggere i vizi intrinseci delle bevande di scarsa qualità. Soprattutto quelle in arrivo da lontano, dal Centro America in particolare (es. Corona). Gli zuccheri alieni sono invece impiegati anche in Italia, sulle bibite dei colossi internazionali (es. Tuborg). In una logica finanziaria di erosione dei già minimi costi di produzione su una bevanda che, si ribadisce, è essenzialmente composta d’acqua potabile.

Lo sciroppo di glucosio utilizzato per la birra, ad esempio, è la parte meno nobile del processo di idrolisi dell’amido di mais. Costa parecchio meno del malto d’orzo e consente di ridurre i costi di processo poiché lo sciroppo non richiede la cottura.

Assobirra e Brewers of Europe – le associazioni che rappresentano i produttori, in Italia e in UE – hanno da tempo assunto l’impegno, su base volontaria, a indicare in etichetta l’elenco degli ingredienti. Sebbene non sia affatto facile consultare tali notizie sul web.

La lista ingredienti peraltro, si noti bene, a tutt’oggi non è obbligatoria per la generalità delle bevande alcoliche. Ed è anzi ben celata, sui vini in particolare.
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