BEAWARE, ORTOFRUTTA SENZA SFRUTTARE
Il rapporto ‘BeAware’ censisce per la prima volta le iniziative a garanzia dei diritti dei lavoratori nella filiera dell’ortofrutta.
Lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura prosegue, inesorabile. In Europa – Spagna e Italia, in cima alla lista – non da meno nei Paesi in Via di Sviluppo. L’alternativa però esiste, come mostra il rapporto ‘BeAware – Best Practices against Work Exploitation‘ (Buone pratiche contro lo sfruttamento in agricoltura).
La ricerca – presentata a Roma il 3.10.18 – è promossa dal ‘Milan Center for Food Law and Policy’, l’osservatorio sul diritto al cibo, nato con Expo Milano 2015 e presieduto da Livia Pomodoro, già presidente del Tribunale per i minori di Milano.
L’agricoltura in Europa vale oltre 400 miliardi di euro, e il lavoro sommerso viene stimato in 14 miliardi di euro. Come dire che in media, nell’agricoltura europea, il 25% è lavoro nero. Tra illegalità e sfruttamento, intermediazione illegale e baraccopoli. Con picchi del 40, 50 e 60% in Romania, Bulgaria e Portogallo.
Il legislatore europeo si ostina a ignorare questo grave problema, e così la Commissione. Le confederazioni agricole, è chiaro, preferiscono lavare i panni in casa. Ma i panni rimangono sporchi, anzi immondi. E l’unico spiraglio di speranza si intravede a tutt’oggi nei sistemi di norme volontarie definiti dai pochi pionieri del settore privato e cooperativo.
L’Italia è protagonista dell’agricoltura in Europa, seconda solo alla Francia (con 50 miliardi di euro di produzione, a fronte dei 70 miliardi d’Oltralpe). L’illegalità purtroppo permea la filiera. Secondo le stime del ‘Milan Center for Food Law and Policy’, l’impiego di braccianti stranieri in nero coinvolge 400mila persone.
Italia e Regno Unito, al contempo, si distinguono per essere gli unici Paesi d’Europa a disporre di una normativa ‘ad hoc’, contro lo sfruttamento in agricoltura. La legge 199/2016 prevede tra l’altro la confisca dei terreni alle aziende responsabili di caporalato. Oltre all’intensificazione dei controlli.
La recente legge italiana è stata preceduta da un Protocollo sperimentale e dalla Rete del lavoro agricolo di qualità, istituita dall’Inps nel 2014. Volta a registrare le imprese in regola con i contributi, prive di condanne per reati in materia di lavoro, tale iniziativa però ha finora avuto uno scarso successo, con appena 3.500 iscritti che rappresentano meno dell’1% del totale delle imprese.
Una nota positiva, in questo desolante panorama, è rappresentata dalle buone pratiche adottate su base volontaria. Lo studio ‘BeAware’ registra infatti in Italia ben 16 iniziative, tra le 35 censite in Europa. Grazie all’impegno delle filiere della produzione agricola e della distribuzione, col supporto delle associazioni sindacali e caritatevoli attive lungo tutta la Penisola per contrastare le illegalità.
Coop Italia spicca tra le imprese italiane citate dal rapporto ‘BeAware – Best Practices against Work Exploitation‘. Già a partire dal 1998 il gruppo cooperativo, primo operatore della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) in Italia, ha applicato la norma volontaria SA8000 sull’intera filiera di approvvigionamento. La campagna Buoni & Giusti, nel 2016, è valsa a riaffermare e condividere tali valori con i consumatori.
Eradicare ogni forma di illegalità e sfruttamento in agricoltura è il passaggio chiave per garantire la sostenibilità sociale dei prodotti distribuiti da Coop. La sua realizzazione è stata possibile grazie alla condivisione con i fornitori di un Codice etico, la cui applicazione è soggetta a puntuali ispezioni e verifiche. Ed è questa, a ben vedere, la migliore garanzia di sostenibilità dell’intero sistema, ‘from the farm to the fork’, che i consumAttori stessi a loro volta iniziano a considerare. ‘Molti fornitori lavorano con noi da 50 anni’, spiega Renata Pascarelli, direttore Qualità di Coop Italia. ‘Chiediamo loro di dare ai produttori agricoli la stessa stabilità che hanno ricevuto e tuttora ricevono‘.
Finagricola, un’altra cooperativa italiana, a sua volta si distingue tra i campioni ‘BeAware’ per le buone pratiche. Grazie agli investimenti in innovazione e formazione dei lavoratori, inclusi quelli stagionali.
‘Il più grande orto d’Italia‘ – nella piana del Sele – in provincia di Salerno – cura l’intera filiera produttiva, dalle sementi alla consegna a scaffale, di 33mila tonnellate di ortaggi. Con un’attenzione verso il clima organizzativo aziendale che si connota per la presenza, in stabilimento, di una cassetta atta a ricevere segnalazioni anonime su eventuali cause di malcontento.
In Calabria è Campoverde agricola a distinguersi per il rispetto della legalità e dei diritti sindacali. Nella Piana di Sibari, produce frutta fresca e trasformata per un fatturato di 31 milioni di euro (dati 2013).
La Francescon di Rodigo (Mantova), con altri siti a Licata e in Senegal, è leader nella produzione di meloni e angurie. Viene citata nel rapporto ‘BeAware’ per l’applicazione di un Codice etico orientato verso l’ambiente e le risorse umane. I lavoratori stagionali, in prevalenza indiani, sono assunti con regolare contratto, alloggio e rappresentante sindacale. Non a caso il loro turn over è inferiore al 5%.
Trentino Frutticolo Sostenibile è invece un progetto pubblico di organizzazione del lavoro, gestito dalla Provincia autonoma di Trento per mediare tra i braccianti stranieri e i coltivatori di mele.
A chiudere il cerchio della solidarietà è il Terzo Settore. La Caritas, che dal 2014 offre assistenza sanitaria, legale e burocratica ai migranti, con postazioni nei luoghi in cui si concentrano i braccianti (Progetto Presidio). E la Flai-Cgil, che dal 2010 organizza sportelli sindacali itineranti per raggiungere i braccianti nei luoghi ove essi vivono e lavorano (Sindacato di strada e Camper dei diritti).
Lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura prosegue, inesorabile. In Europa – Spagna e Italia, in cima alla lista – non da meno nei Paesi in Via di Sviluppo. L’alternativa però esiste, come mostra il rapporto ‘BeAware – Best Practices against Work Exploitation‘ (Buone pratiche contro lo sfruttamento in agricoltura).
La ricerca – presentata a Roma il 3.10.18 – è promossa dal ‘Milan Center for Food Law and Policy’, l’osservatorio sul diritto al cibo, nato con Expo Milano 2015 e presieduto da Livia Pomodoro, già presidente del Tribunale per i minori di Milano.
L’agricoltura in Europa vale oltre 400 miliardi di euro, e il lavoro sommerso viene stimato in 14 miliardi di euro. Come dire che in media, nell’agricoltura europea, il 25% è lavoro nero. Tra illegalità e sfruttamento, intermediazione illegale e baraccopoli. Con picchi del 40, 50 e 60% in Romania, Bulgaria e Portogallo.
Il legislatore europeo si ostina a ignorare questo grave problema, e così la Commissione. Le confederazioni agricole, è chiaro, preferiscono lavare i panni in casa. Ma i panni rimangono sporchi, anzi immondi. E l’unico spiraglio di speranza si intravede a tutt’oggi nei sistemi di norme volontarie definiti dai pochi pionieri del settore privato e cooperativo.
L’Italia è protagonista dell’agricoltura in Europa, seconda solo alla Francia (con 50 miliardi di euro di produzione, a fronte dei 70 miliardi d’Oltralpe). L’illegalità purtroppo permea la filiera. Secondo le stime del ‘Milan Center for Food Law and Policy’, l’impiego di braccianti stranieri in nero coinvolge 400mila persone.
Italia e Regno Unito, al contempo, si distinguono per essere gli unici Paesi d’Europa a disporre di una normativa ‘ad hoc’, contro lo sfruttamento in agricoltura. La legge 199/2016 prevede tra l’altro la confisca dei terreni alle aziende responsabili di caporalato. Oltre all’intensificazione dei controlli.
La recente legge italiana è stata preceduta da un Protocollo sperimentale e dalla Rete del lavoro agricolo di qualità, istituita dall’Inps nel 2014. Volta a registrare le imprese in regola con i contributi, prive di condanne per reati in materia di lavoro, tale iniziativa però ha finora avuto uno scarso successo, con appena 3.500 iscritti che rappresentano meno dell’1% del totale delle imprese.
Una nota positiva, in questo desolante panorama, è rappresentata dalle buone pratiche adottate su base volontaria. Lo studio ‘BeAware’ registra infatti in Italia ben 16 iniziative, tra le 35 censite in Europa. Grazie all’impegno delle filiere della produzione agricola e della distribuzione, col supporto delle associazioni sindacali e caritatevoli attive lungo tutta la Penisola per contrastare le illegalità.
Coop Italia spicca tra le imprese italiane citate dal rapporto ‘BeAware – Best Practices against Work Exploitation‘. Già a partire dal 1998 il gruppo cooperativo, primo operatore della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) in Italia, ha applicato la norma volontaria SA8000 sull’intera filiera di approvvigionamento. La campagna Buoni & Giusti, nel 2016, è valsa a riaffermare e condividere tali valori con i consumatori.
Eradicare ogni forma di illegalità e sfruttamento in agricoltura è il passaggio chiave per garantire la sostenibilità sociale dei prodotti distribuiti da Coop. La sua realizzazione è stata possibile grazie alla condivisione con i fornitori di un Codice etico, la cui applicazione è soggetta a puntuali ispezioni e verifiche. Ed è questa, a ben vedere, la migliore garanzia di sostenibilità dell’intero sistema, ‘from the farm to the fork’, che i consumAttori stessi a loro volta iniziano a considerare. ‘Molti fornitori lavorano con noi da 50 anni’, spiega Renata Pascarelli, direttore Qualità di Coop Italia. ‘Chiediamo loro di dare ai produttori agricoli la stessa stabilità che hanno ricevuto e tuttora ricevono‘.
Finagricola, un’altra cooperativa italiana, a sua volta si distingue tra i campioni ‘BeAware’ per le buone pratiche. Grazie agli investimenti in innovazione e formazione dei lavoratori, inclusi quelli stagionali.
‘Il più grande orto d’Italia‘ – nella piana del Sele – in provincia di Salerno – cura l’intera filiera produttiva, dalle sementi alla consegna a scaffale, di 33mila tonnellate di ortaggi. Con un’attenzione verso il clima organizzativo aziendale che si connota per la presenza, in stabilimento, di una cassetta atta a ricevere segnalazioni anonime su eventuali cause di malcontento.
In Calabria è Campoverde agricola a distinguersi per il rispetto della legalità e dei diritti sindacali. Nella Piana di Sibari, produce frutta fresca e trasformata per un fatturato di 31 milioni di euro (dati 2013).
La Francescon di Rodigo (Mantova), con altri siti a Licata e in Senegal, è leader nella produzione di meloni e angurie. Viene citata nel rapporto ‘BeAware’ per l’applicazione di un Codice etico orientato verso l’ambiente e le risorse umane. I lavoratori stagionali, in prevalenza indiani, sono assunti con regolare contratto, alloggio e rappresentante sindacale. Non a caso il loro turn over è inferiore al 5%.
Trentino Frutticolo Sostenibile è invece un progetto pubblico di organizzazione del lavoro, gestito dalla Provincia autonoma di Trento per mediare tra i braccianti stranieri e i coltivatori di mele.
A chiudere il cerchio della solidarietà è il Terzo Settore. La Caritas, che dal 2014 offre assistenza sanitaria, legale e burocratica ai migranti, con postazioni nei luoghi in cui si concentrano i braccianti (Progetto Presidio). E la Flai-Cgil, che dal 2010 organizza sportelli sindacali itineranti per raggiungere i braccianti nei luoghi ove essi vivono e lavorano (Sindacato di strada e Camper dei diritti).